ciao,
in seguito ho fatto un copia incolla di un estratto di una tesina che avevo scritto proprio su Enrico Rava.
Bisogna ricordarsi che in Italia negli anni 60 non era facile “inventarsi”
jazzisti, mancava la didattica e tutto il resto che oggi facilmente possiamo trovre per avvicinarci e studiare questa musica.
Rava è stato un pioniere della musica jazz in Italia.
Buona lettura a chi ha voglia di leggerlo
(io non l’ho riletto, chissà cosa ho scritto…)
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Tutti i solisti all’ inizio della propria carriera si ispirano ad un proprio idolo che cercano di imitare e di “derubare” dei fraseggi e dello stesso modo di suonare.
Per Freddie Hubbard il punto di riferimento fu Chet Baker del quale studiò attentamente gli spartiti dei brani scritti con Mulligan.
Più tardi il trombettista di Indianapolis scoprì Clifford Brown che cercò di imitare nel suono brillante e pieno, caratterizzato da un attacco veloce e pronunciato.
Clifford Brown sarebbe rimasto la fonte principale e sempre riconoscibile dello stile di Hubbard, anche se a Freddie va riconosciuta la nota caratteristica di una maggiore esuberanza unita ad una tecnica incredibile, giocata spesso su effetti sonori del tutto particolari come i trilli di labbro (o meglio di lingua).
Miles Davis, ancora giovanissimo, era attratto dall’allora nuova musica di Charlie Parker e Dizzy Gillespie, tanto è vero che spesso e volentieri si scatenava in frasi vertiginose per cercare di imitare quest’ultimo.
In tale tentativo di emulazione Miles eccedeva anche negli acuti, in verità con esiti non sempre convincenti, soprattutto perché usava il bocchino con la tazza molto conica allo scopo di ottenere un suono profondo e caldo.
Solo più tardi svilluppò un proprio stile divenendo il punto di riferimento per ogni trombettista e più in generale per ogni musicista.
Anche Enrico Rava agli inizi della propria esperienza musicale ha il suo modello. Tuttavia, nel corso della sua intensa carriera, da tale modello si è affrancato elaborando uno stile diverso e del tutto originale.
Rava studia il piano sin dall’età di sei anni sotto la direzione della madre.
Scopre il Jazz a dieci anni, grazie alla raccolta di dischi del fratello e inizia a suonare il trombone in una formazione dixieland
C’è poca musica in Italia all’ inizio degli anni Sessanta e il rapporto con i grandi del Jazz avviene attraverso i dischi, spesso non facili da trovare.
La “svolta” risale al 1957.
In quell’anno Rava assiste ad un concerto di Miles Davis e si innamora subito della tromba. Qualche tempo dopo, la scoperta di Chet Baker lo conferma nella scelta.
Incomincia quindi a prendere parte a jam session nei club Torinesi, in particolare con il batterista Franco Mondini e il pianista Maurizio Lama con i quali fa la sua prima registrazione il 30.3.1960 ( ).
Subito dopo, nonostante le proteste dei famigliari, fa le valige e si trasferisce a Roma dove da un anno si era stabilito un grande musicista stimatissimo da Rava: Gato Barbieri.
Trascorsi un paio di mesi nella capitale, suona nel quintetto di Gato dove rimane per otto mesi facendo una grande esperienza, cimentandosi sopratutto in pezzi tratti dal repertorio di Miles Davis.
E’ questo il periodo in cui cominciano a circolare i dischi della nuova musica, il Free Jazz di Ornette Coleman, Albert Ayler, Cecil Taylor che provoca violente discussioni tra gli appassionati. Pochissimi sembrano infatti accettare la necessità di scoprire nuovi suoni e di adottare nuovi codici.
Quanto a Enrico Rava , rimane sempre più affascinato dalla musica di Ornette, Shepp, ecc. Tanto che, quando ascolta il meraviglioso concerto del quintetto di Don Cherry al festival di Bologna, si rende conto definitivamente del bisogno di operare un’apertura decisiva nel proprio modo di suonare.
Qualche mese dopo Steve Lacy gli chiede di far parte del suo quartetto. Steve sta infatti cercando di uscire dalla sua fase “Monkiana”.
All’inizio i due suonano temi di Monk e di Carla Bley, cercando poi, nel corso dell’improvvisazione, di abbandonare il giro armonico ed il ritmo, pur conservando l’idea melodica ed una qualche reminiscenza ritmica del tema iniziale.
In breve tempo però le improvvisazioni si dissociano così decisamente dal tema che i due decidono di non eseguire più nessun brano prestabilito e di improvvisare totalmente la propria musica.
La prima serata in cui suonano in questo modo è allo Swing Club di Torino nel dicembre del ‘65. All’inizio del secondo set il pubblico uscì in massa, ma comunque per loro fu un’esperienza determinante e fantastica. Si era aperto di colpo un mondo sonoro completamente nuovo che rappresentava la materializazzione di anni di intuizioni e di desiderio di trasgressione.
La fuga del pubblico sarebbe divenuta una costante delle loro apparizioni.
Qualche mese più tardi si uniscono Johnny Dyani e Louis Moholo aggiungendo al gruppo la libertà e la violenza del loro rapporto con la musica.
Con questa formazione si esibiscono al festival del Jazz a Sanremo ed è uno degli esodi più notevoli che si siano mai visti, per non parlare di come vengono completamente distrutti da quasi tutti i critici Italiani e non.
Questo festival provoca come conseguenza la cancellazione di numerosi concerti e l’impossibilità per i nostri di trovare lavoro.
Il Jazz di Rava e Lacy si differenziava dal Free Jazz, che tra gli appassionati già cominciava ad essere accettato. Infatti, mentre i musicisti identificati come jazzmen lavoravano sui poliritmi e in qualche modo si riferivano ad un concetto armonico, i due puntavano sulla improvvisazione assoluta senza nessun riferimento ritmico armonico o melodico.
Nel ‘66 per mancanza di lavoro in Europa, Rava e Lacy partirono per Buenos Aires dove avevano in precedenza ottenuto una scrittura di un mese in un teatro.
Al debutto c’era una quantità di gente tale che i nostri non riuscivano a raggiungere i camerini.
Il successo ci fu. Il pubblico restò fino alla fine e le loro fatiche furono premiate con scroscianti applausi.
La loro musica portò in teatro tutti: scrittori, psicanalisti, compositori contemporanei, attori pittori e musicisti. Peraltro, ogni sera, al termine dello spettacolo c’erano gruppi di persone che mettevano in discussione rabbiosamente la validità della musica dei due, persone che evidentemente si sentivano offese e prese in giro dalla mancanza di riferimenti.
Così dopo i primi fortunati concerti, la gente non li aspettava più, né fuori né dentro il teatro. Tanto che la direzione li protestò per mancanza di pubblico.
Non avendo soldi per partire si fermarono un anno in Argentina. Per fortuna ebbero nuovi contratti in un club chiamato Gotan dove cominciarono ad esibirsi influenzando dei giovani musicisti.
Prima di lasciare il paese sudamericano si esibirono in un concerto memorabile del quale, un anno più tardi, cedettero il nastro registrato alla ESP che ne fece un disco: The Forest and the Zoo. Quindi il gruppo si sciolse.
Con pochi soldi e qualche indirizzo Rava partì per New York dove alcuni mesi dopo lo raggiunse Steve Lacy. Il luogo di incontro per i musicisti era la casa di Elisabeth Van der Mei, segretaria di Nesuhi Ertegun (Atlantic) e critica di Jazz, ma sopratutto grande amante della musica e amica dei musicisti che cercava di aiutare in tutte le maniere.
Da lei conobbe a più riprese tutti gli artisti con i quali aveva da sempre desiderato di venire in contatto, tra i quali Albert Ayler, Pharoah Sanders e sopratutto Cecil Taylor.
Proprio con quest’ultimo si instaurò un rapporto discepolo-maestro che più tardi si trasformò in un’amicizia profonda che dura ancor oggi.
Fu proprio Taylor che aprì a Rava le porte di un mondo bellissimo sino ad allora trascurato dal musicista italiano: il mondo della Soul Music, che negli anni sessanta attraversava un momento estremamente ricco d’invenzione e di freschezza.
Taylor gli fece capire l’importanza che per i neri americani poteva avere allora una cantante come Aretha Franklin o un musicista come Steve Wonder, e come quella musica fosse un altro aspetto della loro cultura e non un fatto meramente commerciale.
Quell’estate del ‘67 morì John Coltrane. Al suo funerale c’erano quasi tutti i musicisti di New York. Vecchi e giovani, boppers e free, proprio tutti.
Fu una grave perdita, perché, al di là della sua grandezza, Coltrane, che non era un musicista free e che anche nelle sue escursioni più avanzate conservava la logica ed il fraseggio della musica pre-Cecil Taylor, era l’unico grande maestro che capiva quella nuova corrente musicale e le dava credibilità, facendo suonare i nuovi musicisti nel suo gruppo, aiutandoli ad ottenere contratti discografici e dichiarando agli scettici la sua grande ammirazione per Albert Ayler.
Difatti dopo la morte di Coltrane la situazione generale peggiorò rapidamente. I piccoli clubs dove c’era un po' di spazio per la nuova musica cominciarono a sparire uno alla volta, mentre i clubs più affermati chiusero le porte al free Jazz.
Nel corso del ‘67 Rava collabora ancora con Steve Lacy e partecipa a molte jam session, ma a causa della scarsità di lavoro e del visto in scadenza ritorna infine in Italia .
Lo stesso anno, il nostro, sentendosi pronto per la nuova musica, termina la sua collaborazione con Steve Lacy, chiama in aiuto Brotzmann e Schlippenbach, scoprendo con essi un linguaggio comune, e fa una turnée in Germania dove conosce altri giovani musicisti tra i quali Evan Parker, Derek Baylei, Manfred Schoof. Da allora con alcuni di questi, inizia una collaborazione che durerà a lungo.
Nel frattempo molte cose erano cambiate. Dopo anni di ricerca nel campo dell’improvvisazione pura, era stata avvertita la necessità di riesaminare, filtrandole attraverso l’esperienza del free, le possibilità del ritmo, degli accordi e della struttura. Inoltre Davis aveva portato il Jazz ai festival Rock, Tony Williams veniva messo in copertina dalla rivista Rolling Stone, e di colpo, dopo anni di lotta tremenda per la pura sopravvivenza, i jazzisti cominciarono a pensare che forse esisteva la possibilità di condurre un’esistenza economica meno precaria, pur suonando la musica che piaceva.
In questo periodo Rava comincia a scrivere molta musica ed a mettere su un gruppo per suonarla. La neccessità di innovazioni frequenti lo portava a cambiare spesso gli elementi del gruppo. Difatti molti sono i musicisti che collaborano con lui tra i quali Yack De Johnette, John Abercrombie, Dave Barrel e molti altri.
Ci fu anche la grande emozione di suonare al Club Angano di New York dove c’era Miles Davis seduto in prima fila ad ascoltare e manifestare le proprie impressioni.