Author Topic: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza  (Read 23371 times)

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Offline eugeniovi

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #15 on: June 09, 2010, 05:24:26 PM »

Offline Norman

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #16 on: June 09, 2010, 05:39:50 PM »
Il tema è interessantissimo, anche se io ne so poco. Mi chiedo per esempio fino a che punto tenga il paragone con il rap. Il rischio è quello di trascurare le particolarità storiche e tendere a tesi semplificatrici come quella per cui diversi popoli o razze "sentono" la musica in modo intrinsecamente diverso, oppure a supporre che tra gruppi sfruttati e sfruttatori ci sia una sorta di chiusura ermetica, anche se solo a un livello molto profondo e radicale, che in questo caso si traduce negli ammonimenti dei neri ai biachi che questi ultimi non possono comprendere il jazz fino in fondo.
Che queste discussioni abbiano un risvolto ideologico si nota anche da un altro particolare della tesi di Baraka come riportata da Norman. Tutti partiamo dal presupposto che Gerry Mulligan faceva jazz, è un semplice fatto storico (a parte che i fatti storici ovviamente non sono semplici  ;D ). Ora, se diciamo che nessun bianco ha fatto jazz come i neri la conseguenza, se vogliamo essere coerenti, dovrebbe essere che ci sono diverse sfumature nel jazz e non che Gerry Mulligan non faceva veramente jazz. Come se ne esce? Con le tesi "originaliste" (tipo: il vero jazz è quello fatto da Buddy Bolden in quel dato giorno nella strada xy di New Orleans) se ne esce benissimo, ma chiaramente è una mossa puramente ideologica.
Secondo me, sempre dal basso della mia ignoranza, le rivendicazioni culturali e via dicendo sono parte della storia da raccontare e non la spiegazione della stessa. Possono servire a spiegare sfumature e idiosincrasie, ma non a tracciare nette linee di confine.

Gerry Mulligan ha indubbiamente fatto jazz, 'filtrato' dal suo personale vissuto e dal suo personale background, e penso che ciò sia evidente dal suo stile. Non mi sogno minimamente di affermare che non sia possibile per un bianco fare jazz... Il bello del jazz è proprio che è una musica che ha saputo andare oltre le barriere. Però è un fatto che i grandi innovatori del jazz, dalle origini fino ai giorni nostri, sono TUTTI afroamericani, e non è un caso. Ci sono stati tanti grandi musicisti jazz bianchi, ma siamo seri: quelli che il jazz lo hanno creato e via via trasformato sono tutti afroamericani... Armstrong, Duke Ellington, Dizzy, Bird, Monk, Miles e Coltrane. Questi sono i Bach, i Mozart, i Beethoven del jazz... Ed il motivo è, secondo il mio modesto parere, che è più facile che tu possa essere un innovatore in una determinata forma d'arte se quella forma d'arte è parte integrante del tuo essere, se dentro quella cultura e quella visione del mondo ci sei nato e cresciuto. Se la devi acquisire, sarà più difficile, è come se partissi ad handicap. Non è impossibile, ma è molto difficile. E' per questo che secondo me la storia del jazz annovera tanti ottimi jazzisti bianchi, ma nessuno vero innovatore. Forse l'unico, per l'impatto che ha avuto, è Chet Baker (ma sottolineo il forse, perché il debito che ha verso Miles Davis a livello stilistico è notevole).
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Offline Jim Barda

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #17 on: June 09, 2010, 06:01:43 PM »
Sempre daccordo che i grandi innovatori e che le pulsioni più forti le hanno portate nel jazz i neri(come poi in altri stili musicali citati) proprio per il loro ruolo e la loro posizione di disagio nella società americana(si parla sempre di rivendicazione da parte dei neri infatti).

Ma Lennie Tristano e tutta la sua scuola?
(che nonostante le "rivendicazioni" di un certo Miles sono arrivati un po prima ad un certo tipo di jazz. Da Intuition di Tristano a Birth of the Cool di Davis ci passa un decennio circa...)

Offline Valejazz

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #18 on: June 09, 2010, 08:15:41 PM »
Continuo ad essere sottilmente (e rispettosamente) in disaccordo. Che il jazz sia una musica meticcia non ci sono dubbi. Ma quello che io sostengo non è che il jazz non presenti elementi formali di derivazione occidentale, perché questo è assolutamente indiscutibile. Quello che sostengo io è che il modo in cui i musicisti afroamericani utilizzano questi elementi è, nella maggior parte dei casi, schiettamente di derivazione africana.

In realtà non è che stiamo dicendo cose molto diverse a parte la sottovalutazione del contributo bianco che a mio avviso fai in un successivo intervento.

Gli africani negli USA subirono (anche se in modi molto diversi da stato a stato) uno spossessamento violento della loro cultura, almeno nelle funzioni esteriori. Lo spirito non fu eliminato e soprattutto la visione artistica basata sul non esplicitato e sull'ambiguità di Esu divinità della creazione dell'inganno, un po' come il wagneriano Loge e trasformata negli States in Brother Rabbit (di cui Bugs Bunny è al buffa derivazione fummettistica).

I modi che impiegarono per suonare furno rivluzionari perché a una tecnica sostanzialmente europea (spesso padroneggiata a livelli artistici, molti virtuosi neri già nell'800 tenevano recital in giro per i mondo) sovrapposero uno spirito africano, l'effetto finale fu rivoluzionario come mostrò la Ragtime Craze di fine 800 primi 900.

Ma nelle modalità concrete esiste un intreccio di una complessità spaventosa ed emozionante, nel blues trovi il Mali come gli anthem inglesi, nel ragtime Strauss e le percussioni africane ecc

A New Orleans e in altre città gli insegnanti di strumento erano italiani, gli autori dei primi musical neri andavano a lezione da Dvorak durante la sua permanenza americana. Lo scambio fra musicisti, malgrado il razzismo, era costante: i membri della band di Fletcher Henderson adoravano Whiteman e Bix, che a loro volta correvano a sentire Armstrong. I New Orleans Rhyhtm Kings registravano con Jelly Roll Morton, Goodman assumeva neri come Charlie Christian che a loro volta aveva studiato in una città dove i neri al liceo portavano al saggio di fine anno operette di autori bianchi.

Certo Armstrong Ellington Davis sono giganti, ma di bianchi eccezionali, che non ebbero grossi problemi a entrare nel linguaggi jazz ce ne sono a bizzeffe...

Vabbè è un discorso enorme..mi fermo qui...

Offline eugeniovi

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #19 on: June 09, 2010, 09:46:23 PM »
Vale, posso concederti le contaminazioni con la musica colta europea, del resto c'era solo quella, mica potevano sintonizzarsi su radio Mali e seguire un programma di ritmi composti. Va bene la marcia, l'avevano sentita in giro, ma se non ne avessero stravolto il senso del ritmo, se non avessero 'dentro' le blue note e soprattutto avendo una coscienza musicale da inventare la inventarono eccome: liberi da tutto e da tutti, ecco il 'miracolo' del Jazz, fondere assieme senza apparente senso quello che sentivano dentro e fuori. Tristano è grandissimo ma sicuramente se Tatum non avesse suonato con la mano sinistra le sue linee  ( e prima di lui Jelly Roll)forse Tristano doveva sudare un po' di più. Dei neri che tenevano recital imitando i bianchi non si ricorda più nessuno, ma di quelli che urlarono al mondo la più bella musica che c'è si. Ciao.

Offline Norman

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #20 on: June 10, 2010, 09:55:34 AM »
Si, è un discorso enorme ed è impossibile affrontarlo in maniera approfondita su un forum. Diciamo che il mio intento era di focalizzarmi su una questione in realtà molto pratica: penso che troppo spesso ci si avvicina al jazz focalizzandosi troppo sulle forme, che come ho detto a mio parere sono il frutto di condizioni contingenti (e sono meravigliose e rivoluzionarie ancora oggi, sia ben chiaro), ma rimangono sterili se non si fa lo sforzo di entrare nella mentalità giusta, in quel mood che è caratteristico della cultura che ha originato il jazz. E per capire questo mood penso che la prefazione che Baraka fa all'edizione italiana del libro sia illuminante: mentre la nostra cultura è focalizzata sull'individuo, sul concetto di progresso nel tempo, sulla separazione tra anima e corpo e tra ambito razionale e ambito "emotivo-esoterico", il jazz nasce da una cultura che al contrario è caratterizzata dalla creazione collettiva, dall'assenza di distinzione tra passato, presente e futuro (ritmo, più che tempo!) e dalla concezione della vita come costantemente permeata dal metafisico.

Probabilmente è questione anche di gusti, ma io trovo che la musica nera (in tutte le sue declinazioni) raggiunga il massimo del suo splendore proprio quando emergono queste caratteristiche, quando si estrinseca in quella sorta di 'rito' collettivo, quasi esoterico, quando ti porta in quello stato quasi di estasi (ed infatti credo che, molto più della musica classica o comunque della musica occidentale, possa difficilmente prescindere da una dimensione di godimento dal vivo e collettiva).

Faccio un esempio fuori dall'ambito jazzistico: Tower of Power e Parliament Funkadelic. Premetto che i TOP li ho visti anche dal vivo, i Parliament purtroppo no. Ma faccio il confronto tra due live, entrambi meravigliosi: Soul Vaccination dei TOP ed il live a Houston del '76 dei Parliament. Non penso che i TOP abbiano bisogno di presentazioni, facevano e fanno del gran funk, suonano da paura, sono emozionanti e travolgenti. Ma il livello di esaltazione e di energia che mi viene dal live dei Parliament è qualcosa di veramente particolare, sembra veramente provenire da un altro mondo (o da un altro pianeta... chi conosce i P-Funk capirà!  :D). Beh, secondo me molto di rado dei musicisti bianchi sono riusciti ad entrare veramente a fondo in quel mood ed a trasmettere QUEL tipo di emozione (che, ripeto, non voglio definire migliore, ma semplicemente diversa).

Ecco, il proposito con cui ho aperto questa discussione era proprio di sottolineare come, secondo me, il jazz (ma tutta la musica nera) dovrebbe essere affrontato con QUELLO spirito, cercando di interiorizzare quanto più possibile quel concetto di creazione e fruizione della musica, perché alla fine penso che questi siano gli aspetti che veramente la rendono speciale, perché ci emozionano in una maniera completamente diversa da come ci emoziona la musica di Bach o di Mozart, o un'aria d'opera piuttosto che Mahler, ed è questo a mio parere il vero elemento di originalità che ha decretato il successo della musica nera nel mondo occidentale. Ed è anche per questi motivi che penso che il jazz abbia iniziato a morire quando a causa della, pur legittima, ambizione dei musicisti jazz di renderlo una musica "d'arte" ha perso contatto con questo mood e si è avvicinato invece ad un concetto di creatività e di ruolo dell'artista più vicino alla tradizione occidentale.

Spero di essere stato esauriente, sicuramente sono stato prolisso!  sbellicars

E comunque grazie a tutti degli interessantissimi contributi, davvero!  pollices
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Offline eugeniovi

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #21 on: June 10, 2010, 10:46:47 AM »
Grazie a te Norman dei tuoi interventi da leggere sempre con attenzione e piacere. Quando si esprimono concetti validi non si è mai prolissi. Ciao, eugeniovi

Offline Jim Barda

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #22 on: June 10, 2010, 01:02:39 PM »
Diciamo che il mio intento era di focalizzarmi su una questione in realtà molto pratica: penso che troppo spesso ci si avvicina al jazz focalizzandosi troppo sulle forme, che come ho detto a mio parere sono il frutto di condizioni contingenti

Messa così sono daccordissimo con te, per fare jazz bisogna sentire in un certo modo. Troppo spesso chi si avvicina al jazz(pur essendo magari un eccellente strumentista) lo fa guardando più alla forma che alla sostanza. Ma credo anche che ci siano musicisti bianchi che hanno dentro quel mood e quel modo di vedere le cose, quello spirito. Sono più rari ma ci sono...




Offline DarioT

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #23 on: June 10, 2010, 04:46:31 PM »
io, personalmente, quoto Valejazz !

In generale trovo sia limitativo affibbiare etichette, in particolare trovo non corretto affermare che il gezz faccia parte della "musica nera".

Ovviamente manca la controprova ma, e qui sono volutamente provocativo, se gli africani non fossero stati costretti ad emigrare "controvoglia", probabilmente sarebbero ancora li' a suonare i tamburi.
Il confronto e l'assimilazione di forme musicali distinte e, secondo me altrettanto importante, l'imparare a scrivere la musica ha portato a quel genere musicale che chiamiamo jazz.

La musica degli aborigeni australiani e' giusto un esempio di cultura musicale incapace di evolversi a causa della mancanza di scrittura e di "contaminazione" con altre forme musicali: siamo ancora li' a battere sui tamburi esattamente come centinaia di anni fa.


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Offline eugeniovi

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« Reply #24 on: June 10, 2010, 05:12:33 PM »
Le etichette le affibbiamo a tutto per esigenze di comprensione. Sicuramente per una materia come la 'musica improvvisata' il termine che usiamo va sempre più stretto proprio per  sua carratteristica intrinseca di autoalimentarsi con le idee dei musicisti a loro volta autoalimentati dalle loro molteplici esperienze di vissuto. Personalmente quando parlo di Ellington, Brown, Basie... l'uso del termine Jazz non lo trovo così fuori luogo, altro discorso dagli anni 80 in poi, ma alfine cosa cambia, basta capirsi: se uno mi dice che Pat Metheny fa Jazz non sto a sindacare, tanto so già dove collocarlo .(anzi spero tanto di riuscire a vederlo a Venezia). Per questo non vedo il problema delle etichette, forse servono a noi per 'rassicurarci' su quello che abbiamo davanti o che ascoltiamo. Hai perfettamente ragione, la deportazione in schiavitù e il loro interessarsi (per forza) deformando però i parametri occidentali con la loro cultura ha dato vita alla forma muscale che conosciamo. Certo che anche se ci dicevano che i batteri erano li  non so quanti avrebbero inventato la penicillina.......ciao, eugeniovi

Offline Norman

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #25 on: June 10, 2010, 06:03:37 PM »
io, personalmente, quoto Valejazz !

In generale trovo sia limitativo affibbiare etichette, in particolare trovo non corretto affermare che il gezz faccia parte della "musica nera".

Ovviamente manca la controprova ma, e qui sono volutamente provocativo, se gli africani non fossero stati costretti ad emigrare "controvoglia", probabilmente sarebbero ancora li' a suonare i tamburi.


Mi fermo qui, perché non condivido per nulla la tua visione della musica africana come 'non evoluta'. Come scrive Gunther Schuller nel suo trattato sull'origine del jazz (che ti consiglio di leggere), la musica africana si è sviluppata sul ritmo con una complessità che è sconosciuta alla musica europea, la quale ritmicamente ad un africano appare, a ragione, quasi infantile... Io penso che la musica africana abbia fatto ritmicamente cose paragonabili a quello che la musica occidentale ha fatto con la polifonia. La musica africana non ha alcun bisogno di 'evolversi' nella stessa maniera con cui si è evoluta la musica occidentale. Semplicemente è una musica diversa, che a noi appare primitiva per il semplice motivo che non abbiamo gli strumenti per capirla (e spesso neanche ci proviamo, probabilmente...). Un gruppo di percussionisti africani è in grado di sviluppare una complessità ritmica che nessuna orchestra sinfonica sarà mai in grado di sviluppare... Loro hanno affinato quell'aspetto, mentre noi occidentali abbiamo affinato la polifonia, ma stai certo che il livello di complessità e finezza è assolutamente paragonabile!

Purtroppo noi occidentali abbiamo il brutto vizio di misurare tutto con i nostri parametri, e spesso ci manca l'apertura mentale per capire che la strada che abbiamo percorso noi non è né l'unica percorribile, né tantomeno necessariamente la migliore. E' semplicemente una delle tante strade.

Se gli schiavisti toglievano i tamburi agli schiavi era proprio per privarli della loro cultura, considerata primitiva e deteriore, mentre invece era una cultura plurimillenaria e molto più profonda di quanto loro non fossero in grado di comprendere. Ci sarebbe da domandarsi chi fossero veramente i primitivi...

;-)

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #26 on: June 10, 2010, 06:14:34 PM »
In generale trovo sia limitativo affibbiare etichette, in particolare trovo non corretto affermare che il gezz faccia parte della "musica nera".

Diciamo che è una musica dove l'elemento africano gioca un ruolo centrale, il cui spirito affonda nella religiosità del ring shout poi tradotta negli spiritual, nel gospel e nel blues.

La grande differenza fra jazzisti bianchi e neri sta in questo retroterra culturale. Ma vi sono punti di contatto perché la religiosità estatica degli holy rollers tanto cara a Mingus era comune anche ai vari risvegli religiosi bianchi con relativi camp meeting, nati già nell'800. L'interscambio è stato continuo.

Per il resto il jazz senza la necessità forzosa dei neri di confrontarsi con la cultura bianca e trovare una via personale per assimilarla non sarebbe jazz.

Come non vi sarebbe senza il repertorio melodico italiano (si leggano le testimonianze di Armstrong), la banda militare francese e tedesca, gli anthem, le canzoni irlandesi, il songwriting ebreo ecc.

E questo ha dato la possibilità a bianchi di fare il percorso inverso in modo convincente, dalla loro musica alla fisicità e continuità temporale africana.

Non vorrei che dopo anni di sottovalutazione  in un senso (Mazzoletti secondo il quale il jazz lo inventano gli italiani e dopo arrivano i neri...) si cadesse nell'eccesso opposto, in effetti noto la totale sottovalutazione dell'arte di moltissimi bianchi (dei quali ci si ricorda solo di Chet ma ce ne sono a bizzeffe) spesso amati e imitati dai neri. Vedi Lester Young che crea il sound sulla base di Frankie Trumbauer, Rex Stewart che cita nota per nota con l'orchestra di Fletcher Henderson il solo di Bix in Singing the Blues. Sonny Stitt che cerca Jimmy Giuffre per farsi arrangiare un disco con orchestra. I jazzisti di Harlem che "mangiano" ogni nuova canzone di Gershwin. Miles e Lester che ascoltano Sinatra dalla mattina alla sera negli anni 50. Basie che cerca Neal Hefti e Sammy Nestico per i suoi dischi migliori del periodo New Testament...

Musica meticcia, per fortuna!
"Black, Brown and Beige" - Duke Ellington

PS
Non c'è nulla di male nel continuare a suonare tamburi, gamelan, tarantelle ecc ;)
« Last Edit: June 10, 2010, 06:23:54 PM by Valejazz »

Offline DarioT

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #27 on: June 10, 2010, 08:08:55 PM »
Mi fermo qui, perché non condivido per nulla la tua visione della musica africana come 'non evoluta'........... Un gruppo di percussionisti africani è in grado di sviluppare una complessità ritmica che nessuna orchestra sinfonica sarà mai in grado di sviluppare...

Che non ci possa essere evoluzione senza scrittura e' un fatto antropologico oggettivo e, guarda caso, la "base" stessa dei grandi del jazz e' uno studio approfondito di quanto fatto in precedenza.

Nulla da eccepire sulle complessita' ritmiche "odierne", sull'evoluzione "recente" ......ma io ovviamente parlavo di un paio di centinaia di anni fa.....

quoto, nuovamente, anche l'ultimo intervento di Valerio !
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Offline Valejazz

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #28 on: June 10, 2010, 08:19:45 PM »
Che non ci possa essere evoluzione senza scrittura e' un fatto antropologico oggettivo e, guarda caso, la "base" stessa dei grandi del jazz e' uno studio approfondito di quanto fatto in precedenza.

Forse la grandezza del jazz sta nell'avere conciliato, dopo secoli di separazione, una cultura orale e corporea come quella africana con una cultura smaterializzante e visuale (musica scritta da leggere...) come quella europea.

Direi che il guadagno è stato reciproco...

Offline Jim Barda

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #29 on: June 10, 2010, 09:52:16 PM »
Purtroppo noi occidentali abbiamo il brutto vizio di misurare tutto con i nostri parametri, e spesso ci manca l'apertura mentale per capire che la strada che abbiamo percorso noi non è né l'unica percorribile, né tantomeno necessariamente la migliore. E' semplicemente una delle tante strade.
Su questo passaggio non posso che quotarti.